Il Mercato nella storia e nelle tradizioni
Spesso la storia di un paese non è fatta soltanto di grandi avvenimenti ma anche di tradizioni popolari che costituiscono dei veri e propri bozzetti oleografici degni di essere tramandati ai posteri per le divertenti scenette e certi personaggi che sono propri del folklore di un popolo. E' fatta di artisti che si sono contraddistinti per le loro doti: ed Atripalda di pittori affermati ne ha tanti: da Guido Pisano ad Armando Rotondi, da Davide Gaeta ad Ugo Postiglione e così via. Era l'epoca delle carrozzelle e dei carretti con i cavalli e non era neppure ancora comparsa la filovia Atripalda-Avellino, oggi anch'essa scomparsa. Ad Atripalda, antico e grosso centro commerciale della provincia, prima ancora che sorgessero i mercatoni di Torrette e di via Ferriera, durante il tradizionale mercato del giovedì ma anche negli altri giorni della settimana era possibile acquistare le cose più strane ed impensabili ai giorni nostri. Sul primo ponte del fiume Sabato (per chi proviene da Avellino) risuonava un caratteristico richiamo: "sangueee...". Erano i sanguettari ovvero i venditori di sanguisughe. In quel tempo non c'erano ancora le USL di oggi, lottizzate dal solito partito di maggioranza, ed ognuno si arrangiava come meglio poteva. Quello dell'uso degli schifosi animaletti era una terapia praticata per lo più da abili barbieri che si improvvisavano anche infermieri. Non mancavano i pazienti che si sottoponevano a quella... sanguinaria cura. Il primo ponte era anche il ritrovo abituale di facchini e banditori che lì stazionavano in attesa di... lavoro. Per le loro particolari caratteristiche ne ricordiamo alcuni: "O toscano", Arcangelo sempre "ncazzuso" resosi celebre durante la guerra per avere scazzottato alcuni soldati canadesi ubriachi che lo avevano molestato ed alcuni altri. Fra i banditori ricordiamo Cicchiello. La voce di Cicchiello echeggiava solennemente per tutta la cittadina del Sabato: "Chi vò comprà o vino buono a do Tuppillo, nà lira a litro...". Qualche ragazzaccio in vena di sfottere il prossimo gli faceva eco: "Nun è o vero!...". Ne seguiva un furibondo rosario di male parole. Altro personaggio caratteristico di quel tempo era mastro Francisco il capostipite di una folta colonia di Zingari atripaldesi. Sempre rispettoso con tutti, mastro Francisco aveva impiantato la sua piccola improvvisata officina all'aperto, sotto i tigli del famoso piazzale oggi scomparso; forgiava degli artistici arnesi in ferro battuto, quali coltellacci da macellai, forbici, scuri, falci, ecc., lavori questi che le donne andavano in giro a vendere. Ma il particolare lavoro di vero artista consisteva nel fabbricare un raro anche se costoso strumento musicale chiamato "schiacciapensieri", molto in voga in Sicilia. Chissà perché gli Zingari chiamavano tale strumento con nome di "tromba". Il mercato di Atripalda malgrado tutto si imponeva nei suoi folkloristici aspetti, vera e propria oleografia di vita vissuta. Il maresciallo Tanga, già sottufficiale della milizia fascista, era un buontempone, una vera pasta di miele. Dopo la guerra era diventato un solerte dipendente del Comune; durante il mercato del giovedì aveva il compito di esattore degli ambulanti. A quella sua acuta intelligenza nessun pollivendolo sfuggiva ed il maresciallo era sempre pronto a staccare il suo bravo biglietto di riscossione. Va ricordato oltre che per la sua giovialità, anche per il suo senso di onestà. Il commercio di Atripalda procedeva florido e Don Alfredo "a munnezza" acquistava e vendeva dollari americani calcolando bene l'andamento della Borsa. La gelateria di quel tempo era piuttosto artigianale ma non per questo meno genuina. Abili gelatieri ambulanti s'imponevano per gusto; fra questi ricordiamo Paoluccio e Francisco; i ragazzi di allora facevano ressa ai loro carrettini per gustare i coppetti. Bravissima era pure Carmela Catamone che in grossi bicchieri di cristallo massiccio serviva rinfrescanti granite di limone. Peppino Maietta era l'uomo più piccolo di Atripalda ma l'intelligenza e la rettitudine non gli mancava di certo. Peppino fu dapprima il custode della locale sezione comunista, ma fu poi sistemato dal Comune come addetto ai bagni pubblici. Il suo lavoro era intenso, i gabinetti erano sempre puliti e Peppino era sempre gentile con i clienti. Per questo va ricordato ai vecchi atripaldesi come esempio di laboriosità e di correttezza morale.
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